martedì 25 novembre 2014

Casa dolce casa



Sette giovani artisti aprono in modo impeccabile la stagione del neo nato Teatro Kopò, lo fanno con genuinità e freschezza, portando in scena Casa dolce casa, spettacolo frutto di una drammaturgia composta in poco più di tre ore, come racconta la regista Sara Corelli.

Riconoscibile, scorrevole, probabile, la vicenda scorre fluida fin dalle prime battute e la fedele ricostruzione di un salotto anni ’60 incornicia gli avvenimenti: Giovanni insiste affinchè sua sorella Maria e suo cognato Natalino lascino la casa in cui vivono tutti e tre assieme, assistiti dalla materna figura di Tina, la domestica. Giovanni mette a punto un piano che porterà due bislacchi avventori a visitare l’abitazione per acquistarla; sarà a questo punto che gli accadimenti prenderanno una piega totalmente inaspettata, conferendo alla rappresentazione differente temperatura e nuovo senso. Lo sciogliersi degli intrighi trova uno spettatore compiaciuto, che, adagiato sulla linearità di una vicenda prevedibile e dall’esito quasi scontato,  viene colto di soprassalto, tanto da avere la sensazione di assistere a uno spettacolo nuovo. O di assistere allo stesso accadimento, ma con una predisposizione d’animo ribaltata, rinverdita dalla estemporanea sferzata di energia.

Casa dolce casa si designa come un ben riuscito omaggio alla commedia teatrale italiana, rifacendosi dichiaratamente e senza pretesa alcuna allo stile affabulatorio dei  giganti fratelli De Filippo; tempi comici giusti, ottima intesa tra i giovani attori che, anche in presenza di qualche piccola défaillance, dimostrano una padronanza del mezzo degna di grandi citazioni. L’atmosfera che si crea è quella rassicurante delle cose buone, fatta di personaggi ascritti in comportamenti stereotipati ma mai noiosi;  una familiarità da sabato sera, trascorso, appunto, in casa.

Particolarmente degne di nota le interpretazioni di Pierfrancesco Perrucci nei panni di Giovanni, e di Pamela Vicari nei panni della domestica. Una recitazione briosa e pregna di iniziativa, capace di colorire e caratterizzare la consuetudine di un clichè tipico.

Giunto il momento degli applausi, in sala ci sono tanti sorrisi sornioni e un leggero ma palpabile velo di commozione; si ha voglia di riavvolgere il nastro e rivedere lo spettacolo con l’occhio di chi già sa come va a finire, così da catturare quei piccoli determinanti dettagli che facevano preludere qualcosa  al quale, però, non si riusciva a dare un nome. La forza drammaturgica di Casa dolce casa sta proprio qui.
 
Pamela Del Grosso
11 ottobre 2013

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