Sette giovani artisti aprono in modo impeccabile la stagione
del neo nato Teatro Kopò, lo fanno con genuinità e freschezza, portando in
scena Casa dolce casa, spettacolo
frutto di una drammaturgia composta in poco più di tre ore, come racconta la
regista Sara Corelli.
Riconoscibile, scorrevole, probabile, la vicenda scorre
fluida fin dalle prime battute e la fedele ricostruzione di un salotto anni ’60
incornicia gli avvenimenti: Giovanni
insiste affinchè sua sorella Maria e
suo cognato Natalino lascino la casa
in cui vivono tutti e tre assieme, assistiti dalla materna figura di Tina, la domestica. Giovanni mette a
punto un piano che porterà due bislacchi avventori a visitare l’abitazione per
acquistarla; sarà a questo punto che gli accadimenti prenderanno una piega
totalmente inaspettata, conferendo alla rappresentazione differente temperatura
e nuovo senso. Lo sciogliersi degli intrighi trova uno spettatore compiaciuto,
che, adagiato sulla linearità di una vicenda prevedibile e dall’esito quasi
scontato, viene colto di soprassalto,
tanto da avere la sensazione di assistere a uno spettacolo nuovo. O di
assistere allo stesso accadimento, ma con una predisposizione d’animo
ribaltata, rinverdita dalla estemporanea sferzata di energia.
Casa dolce casa si designa come un ben riuscito omaggio alla
commedia teatrale italiana, rifacendosi dichiaratamente e senza pretesa alcuna
allo stile affabulatorio dei giganti fratelli
De Filippo; tempi comici giusti,
ottima intesa tra i giovani attori che, anche in presenza di qualche piccola
défaillance, dimostrano una padronanza del mezzo degna di grandi citazioni.
L’atmosfera che si crea è quella rassicurante delle cose buone, fatta di
personaggi ascritti in comportamenti stereotipati ma mai noiosi; una familiarità da sabato sera, trascorso,
appunto, in casa.
Particolarmente degne di nota le interpretazioni di Pierfrancesco Perrucci nei panni di
Giovanni, e di Pamela Vicari nei
panni della domestica. Una recitazione briosa e pregna di iniziativa, capace di
colorire e caratterizzare la consuetudine di un clichè tipico.
Giunto il momento degli applausi, in sala ci sono tanti
sorrisi sornioni e un leggero ma palpabile velo di commozione; si ha voglia di
riavvolgere il nastro e rivedere lo spettacolo con l’occhio di chi già sa come
va a finire, così da catturare quei piccoli determinanti dettagli che facevano
preludere qualcosa al quale, però, non
si riusciva a dare un nome. La forza drammaturgica di Casa dolce casa sta
proprio qui.
Pamela Del Grosso
11 ottobre 2013
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