giovedì 20 novembre 2014

Disperazione e salotti borghesi


 
 
Salotto borghese. Bello il tavolo, importante, disposto al centro della piccola e intima stanza; belle le sedie attorno ad esso, comode. Luce soffusa, sguardi compìti e compiaciuti; movenze misurate e composte. Sta per arrivare, penso fra me e me, il tè arriverà a momenti. Poi mi rendo conto di dove sono e del perché sono capitata in quel posto. Sono a La Villetta, spazio adiacente al Teatro Palladium; sono qui, siamo qui, perché Ornella Bellucci presenta un audio documentario sulla tragedia Kater I Rades, carretta albanese affondata dalla Marina Militare Italiana, strage di Stato per cui dopo sedici anni non solo non ci sono ancora colpevoli, ma addirittura sono stati formulati giustificazioni, avalli garantiti in sede processuale, sgravi più o meno eclatanti di coscienza, responsabilità e colpe.

L’audio parte, a manovrare le attrezzature tecniche c’è Gianluca Stazi, che ha collaborato con la Bellucci per la digitalizzazione e la campionatura dei suoni e delle voci che stiamo per sentire. Una donna albanese parla, racconta di un figlio che in sogno le chiede di essere cercato, di non essere dimenticato; la indirizza verso un luogo freddo e buio, mamma, le dice,  io sono qui. Sentiamo la voce di un ragazzo che sulla Kater I Rades c’era davvero, sentiamo la voce di un sopravvissuto, di un miracolato, di una vittima ancora viva, perché restare illesi non significa uscirne indenni. E ancora, stralci di comunicazioni di bordo, stralci di interrogatori e deposizioni, una macabra cantilena di nomi che giacciono in fondo al mare; si sente lo sciabordìo dell’acqua contro la chiglia, il suono ferroso di quella che potrebbe essere un’àncora, una catena d’approdo, un gancio.

L’affondo emotivo è forte perché forte e penetrante è l’apporto emotivo della voce, della sola voce. Un esperimento che apprezzo, un tema che conoscevo appena e che sono contenta di aver approfondito. Il bilancio è positivo, mi porto via qualcosa di buono.

E invece accade qualcosa: la magia del compartecipato raccoglimento si rompe, l’equilibrio si spezza, siamo tutti di nuovo catapultati nel salotto borghese, il tintinnare delle stoviglie da tè, adesso, è quasi reale. I presenti danno il via ad una staffetta di domande fortemente contestualizzate, perniciose, pretestuose;  pensieri ricchi di contenuti pragmatici. Qualcuno ci tiene ad informare l’auditorio che con ogni probabilità, all’epoca dei fatti, non si trovava nemmeno in Italia! Mi chiedo in che misura questo possa interessarmi.

Si entra nel particolare, nel tecnicismo, si vuol sapere da Gianluca Stazi se lo sciabordìo del mare che abbiamo udito è un suono campionato o un effetto reale, come se verosimilmente le audio  interviste potessero essere state effettivamente realizzate su una carretta arrugginita e sbilenca affittata per l’occasione, così, giusto per affinare quel senso del tragico e del gotico che tanto ci piace.

L’agone tra i compiaciuti ospiti continua, qualcuno gira attorno al tavolo fotografando le fotografie poggiate sul tavolo bello ed importante, le fotografie che corroborano l’audio delle interviste, che immortalano il relitto della Kater I Rades.

 

Nella saletta è presente anche una ragazza albanese, figlia di una delle ottantuno vittime della tragedia; è un esempio di dignità, fatica a sillabare poche semplici parole non perché non parli l’italiano, piuttosto perché, dice,  è difficile se non impossibile parlare così analiticamente della vicenda. Sono vite, traumi insanabili, famiglie smembrate, colpevoli mai riconosciuti, corpi divenuti invisibili. Di tutto questo ne è stato fatto spettacolo elitario mascherato da inchiesta divulgativa senza troppo pudore.

L’apoteosi si raggiunge quando Ornella Bellucci, fregiata ed affermata giornalista professionista, spara a zero sulle interviste realizzate con l’ausilio del video,affermando che alcune confessioni non possono essere violentate con la veemenza di una telecamera. Uno degli insegnamenti più importanti de La Retorica di Aristotele cita che è un grossolano errore servirsi delle defezioni dell’avversario per avvalorare le proprie tesi o il proprio lavoro. Quando però le ragioni che muovono l’individuo sono deboli o fortemente attacabili, questo deprecabile comportamento si rende, ahimè, necessario.

 

Il buco nel mare e Ilva, c’era una rivolta sono gli altri due lavori che fanno parte, assieme a Kater I Rades, della trilogia documentaristica Racconti invisibili.

Mi auguro solo di non dover indossare l’abito lungo per assistere alla prossima performance.
 
 
Pamela Del Grosso
 
La Villetta, Roma
Festival Teatri di Vetro, edizione 2013
27 aprile 2013

 

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