giovedì 20 novembre 2014

Elvira Frosini, mutatis mutandis


Una donna innanzitutto. Poi un’attrice, una performer in perpetua evoluzione, poliedrica e spendibile in contesti e palcoscenici molteplici eppur capace di rendere sempre e comunque visibile quel fil rouge  che dà forma e senso di continuità al proprio lavoro. Ė Elvira Frosini, artista romana perennemente impegnata nell’opera del cercare, con l’ossessione di fendere la superficie delle cose andando al di là della convenzione, del sentimentalismo, del politicamente corretto.

L'ultimo progetto/esperimento, Condizione#1, Elvira Frosini lo ha proposto domenica 12 Maggio,  durante la serata conclusiva del festival Centrale Preneste inFest.

Un lavoro breve, uno studio appunto. Due donne in scena e in sottofondo un rumore lontano di elicotteri, una trasmissione radio che potrebbe essere un comunicato di guerra, poi degli spari.

Angela D’Alessandro ed Elvira Frosini usano la grammatica del teatrodanza, il teatro “che abortisce la parola” ma che, forse più di tante forbite drammaturgie dialogate, è capace di mettere lo spettatore con le spalle al muro, condannandolo alla disperata ricerca di un significato.

Le due attrici sperimentano equilibri acrobatici, risultano credibili rispetto a ciò che fanno ma non rispetto a ciò che raccontano, un messaggio che rimane custodito e imploso.

Mostrano il proprio corpo in una nudità che non è esibizione ma ostentata scarificazione e lottano per la conquista di un’idea, La Patria, tutta concentrata in una bandiera che porta i colori dell’Italia.

 


Dalla cripticità quasi surreale di Condizione#1 Elvira Frosini passa ad una esteriorità tracciata a tinte fortissime, un lavoro in cui accentra su di sé quasi tutte le maestranze: la drammaturgia, la regia, l’interpretazione.

Trattasi di Digerseltz, andato in scena al Teatro dell’Orologio dal 10 al 19 Maggio, dove una Elvira Frosini stile anni '70 entra ed esce dal proprio personaggio, vestendo i panni ora di una presentatrice televisiva, ora di una cantante sulla falsariga di Nina Hagen, ora della tormentata protagonista, che si barcamena fra l’orrore del quotidiano e la fissazione per il proprio frigorifero.

Celebra un mondo macabro, tutto pervaso dalla mania del cibarsi, dell’ingurgitare. Un nutrimento che non è più tale da tanto, troppo tempo; un atto concreto e simbolico, quello del mangiare, ormai ridotto alla psicastenia dei rapporti umani malati, della distorta percezione del sé.

La Frosini porta in scena un misticismo blasfemo, di cui si serve per smascherare l’ipocrisia delle convenzioni; “santo frigo e santa tele, riempitori dell’anima mia”, invoca l’artista romana mentre si trasforma in una Madonna isterica che mangia e sputa popcorn, in quel micromondo rappresentato dall’adunanza attorno alla tavola, alla mensa, al desco del dolce desinare.

Una donna che porta in scena una nevrosi è quasi sempre un bel vedere.

La nevrosi portata in scena da una donna quasi sempre funziona.

Ed Elvira Frosini ha funzionato: hanno funzionato le sue dicotomie, la sua voce, così particolareggiata e a tratti esaltata da una dizione volutamente sporca. Ha funzionato quel finto disordine del voler dire tutto e a tutti i costi; la palesata alternanza tra la Frosini attrice e la Frosini autrice.

L’artista romana ha esteso l’indagine sull’isteria ad un’interrogazione assai più lasca, avventurandosi nel ginepraio delle dinamiche del cibo, oltre il significato del cibo stesso.

Si congeda, in ultimo, senza una soluzione, nell’ansia flebile di un ennesimo pasto da consumare o dal quale lasciarsi ingoiare.

A noi la scelta.
 
 
Pamela Del Grosso
 
Teatro dell'Orologio, Roma
19 maggio 2013

 

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