martedì 25 novembre 2014

Orazio, Vite Nude

Luca Vonella chiude la sezione teatro del Roma3 Film Festival 2013. Porta con sé le forme semplici di un teatro a uno, risultato della scissione di un gruppo, Teatro a Canone, e di un percorso, Vite nude.
 
 
 
 

Con ostinazione e laboriosità, l’artista ha saputo tenere le fila di un discorso iniziato come un lavoro corale e culminato nell’assolo di un unico attore in scena, creando, per l’occasione, uno spazio sacrale in cui accogliere gli spettatori.

 Sedie disposte a quadrato attorno a uno spazio vuoto, luce soffusa, attesa in quanto pensiero dell’azione. Luca Vonella dà vita a una raccolta di tre storie, tre novelle sottoforma di rappresentazione; un Hemingway nostrano che si è avventurato nei padiglioni dei manicomi ed è tornato per testimoniare che la realtà, a volte, è meno atroce di quel che sembra.

Il corpo di questo one man show è forgiato ed educato secondo i rigidi precetti del training; lo si percepisce dai movimenti, dalle partiture fisiche che raccontano, ammaliano, escludendo a priori una voice over di cui non si avverte la mancanza. Tre storie di ordinaria follia, di malattia mentale;  tre esistenze raccontate seguendo la consecutio temporum della pazzia. La pazzia dei gesti negati, la pazzia della burocrazia che fagocita la vita; l’insana voglia di normalità.

Vonella legge una lettera, unico struggente stralcio di un amore nato tra le pareti bianche dell’Istituto. Si tratta semplicemente di esseri umani. La demenza non c’entra.

Ci racconta, poi, di una donna e della creatura che ha partorito. L’attore utilizza parole lievi e cantilenanti e quel che di ritorno arriva è la sensazione di essere in un sogno, come se fossimo stati presi tutti per mano e condotti in una bolla di sapone, per vedere finalmente cosa davvero si cela dietro la convenzione, il conformismo, la paura. Vonella ha la straordinaria capacità di distogliere lo sguardo dello spettatore dall’ovvio, dalla prima interpretazione, facile e scontata. Una donna affetta da malattia mentale che partorisce è in prima istanza una madre. Quali travagli, quanti interrogativi, quali indescrivibili emozioni deve provare, deve aver provato? Esattamente gli stessi di una donna che è madre al di fuori dell’Istituto. E così tutto torna e si confutano alcune delle basilari ipocrisie che reggono gli impianti della società.

Una società amara, la stessa che prende a schiaffi il protagonista dell’ultimo racconto; un uomo intriso di poesia che si scontra con una realtà negligente e sterile, perché vincolata dalle norme della morale benpensante.

Il controcanto di quanto avviene in scena è affidato alla musica; Venditti, Pavarotti, Marlene Kuntz. Registri così profondamente diversi che si fondono nell’alchimia del racconto, tracciandone l’incedere nota dopo nota. È anche servendosi della musica che Luca Vonella realizza immagini forti, evocative; è l’attore dilatato, marionetta del suo stesso pensiero che si palesa in forme nitide e riconoscibili.

Un discorso lucido e un ragionamento profondamente laico sono i parametri che regolano il percorso di Vite Nude, affinchè la cultura della guarigione sovverta lo stigma della malattia mentale. Perché guarire si può, Luca lo ha imparato e lo asserisce chiaramente: guarire è possibile, significa divenire autonomi.
 
 
Pamela Del Grosso
4 luglio 2013

Nessun commento:

Posta un commento